Per la Cassazione la contrazione della capacità di guadagno è risarcibile solo se provata

Per la Cassazione la contrazione della capacità di guadagno è risarcibile solo se provata
29 Agosto 2017: Per la Cassazione la contrazione della capacità di guadagno è risarcibile solo se provata 29 Agosto 2017

IL CASO. Un notaio era stato coinvolto in un incidente stradale, in conseguenza del quale aveva riportato lesioni alla persona (lo scoppio di una vertebra) con esito permanente. Aveva, pertanto, adito il Tribunale competente per ottenere il risarcimento dei danni patiti, incluso il “danno da lucro cessante connesso alla invalidità temporanea ed alla invalidità permanente”. Il Giudice di primo grado aveva rigettato la domanda relativa a quest’ultima posta risarcitoria. La Corte d’appello di Milano, invece, aveva riconosciuto al professionista una ulteriore somma a titolo di “risarcimento del lucro cessante per il periodo di invalidità temporanea”, confermando tuttavia il rigetto della domanda in relazione al “risarcimento del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica escludendo che fosse stata fornita la prova, anche presuntiva, di un pregiudizio economico collegato alle conseguenze permanenti dell’incidente”. Avverso tale decisione sfavorevole il notaio aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando come i giudici di merito avessero negato “il diritto ad un integrale ristoro del pregiudizio subito”, sottovalutando “le conseguenze anche in termini di pregiudizio patrimoniale della lesione dell’integrità fisica riportata, che si traduce, come postumi permanenti … in una maggiore faticosità del lavoro, nelle difficoltà di effettuare spostamenti, ed in una necessità di interruzioni consistenti e del rispetto di tempi più lunghi di recupero fisico”. Per il professionista, il Giudice d’appello si era così posto in contrasto con i “principi elaborati dalla giurisprudenza in materia”. In base a questi “il danno derivante da invalidità permanente che si traduca nella lesione della ‘cenestesi lavorativa’, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà nello svolgimento dell’attività lavorativa” (il cd. danno alla capacità lavorativa generica) “si risolve … in una compromissione biologica dell’individuo e va liquidato come danno alla salute”, mediante una “personalizzazione” di quest’ultimo. Il predetto danno “può essere liquidato anche come danno patrimoniale” (il cd. danno alla capacità lavorativa specifica) qualora “si provi che esso abbia comportato anche una comprovata riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, in connessione con l’attività da questi svolta”. Precisamente, per ottenere il risarcimento di quest’ultimo danno, il danneggiato deve provare la “riduzione del reddito” e la “connessione causale tra questa contrazione e la menomazione subita”. Il notaio aveva, però, anche sostenuto che “sulla base dell’attuale quadro giurisprudenziale, laddove in caso di micropermanente si presume che essa rilevi soltanto sotto il profilo della personalizzazione del danno biologico”, nel diverso caso che “il danno permanente consista in una invalidità permanente media o grave” “la prova della incidenza causale … può essere fornita anche a mezzo di presunzioni”, le quali “dovrebbero operare in modo tale che, provata da parte del danneggiato una diminuzione del guadagno, essa dovrebbe essere posta in rapporto presuntivo iuris tantum di causalità con la lesione”. Ciò che, invece, ad avviso del professionista non era avvenuto nel suo caso, avendo la Corte d’appello negato che dalla frattura della costola (lesione macropermanente) ch’esso aveva subito fosse derivata una “diminuzione dei guadagni e della possibilità di incrementare il proprio reddito professionale”.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione civile, con la sentenza n. 12467/2017, nel rigettare il ricorso, ha colto l’occasione per soffermarsi sul tema dell’“apprezzamento del danno permanente riportato da chi eserciti una professione intellettuale, sotto il profilo della riduzione della propria capacità di produrre guadagno, e quindi del verificarsi di un lucro cessante futuro”, interrogandosi in particolare “in quali casi il danno fisico con esiti permanenti non comporti soltanto la necessità che se ne tenga conto ai fini di una adeguata personalizzazione del danno biologico, ma quando e secondo quali criteri probatori, esso possa determinare anche una riduzione della capacità di guadagno nelle professioni intellettuali”. Il Giudice di legittimità, dato atto della “difficoltà della prova di una connessione causale tra la diminuzione dei guadagni e l’invalidità subita da un professionista, esercente una professione intellettuale”, ha però anche affermato come questa non possa consentire alcun alleggerimento probatorio, nemmeno in presenza di una lesione cd. macropermanente. La Corte di Cassazione ha, così, confermato la sentenza della Corte d’appello, la quale aveva affermato che “la contrazione della capacità di guadagno, pur in presenza del verificarsi di una invalidità permanente di incidenza non trascurabile” – che “può andare ad incidere anche sullo svolgimento dell’attività lavorativa del soggetto, pur essendo questa una attività intellettuale, e quindi non necessitante in via primaria dell’impiego di forza fisica” – “non può essere presunta, ma deve essere allegata e provata”. Nel caso di specie, il notaio non aveva fornito alcuna prova né della “diminuzione della capacità di guadagno” (rectius: della diminuzione dei propri redditi), ossia del “pregiudizio patrimoniale stesso”, né della “derivazione causale, secondo la regola della regolarità causale o del più probabile che non, tra la contrazione di reddito verificatasi … e la impossibilità fisica, per il notaio, di mantenere i ritmi lavorativi precedenti, e tanto meno di incrementarli”. Pertanto, per la Cassazione, in assenza della succitata prova, la Corte d’appello bene aveva fatto, nel liquidare il risarcimento del danno in favore del notaio, a valorizzare le conseguenze dell’invalidità permanente riportate da quest’ultimo unicamente quale danno alla capacità lavorativa generica, mediante la personalizzazione del risarcimento liquidato per il danno biologico. Ed altrettanto correttamente aveva, invece, negato al professionista il risarcimento del danno (patrimoniale) alla capacità lavorativa specifica da invalidità permanente.

La decisione della Corte di Cassazione dimostra come siano oramai superate quelle ambiguità del “quadro giurisprudenziale”, richiamate dal ricorrente, che, in presenza di una macrolesione, consentivano al danneggiato di lucrare il risarcimento del danno patrimoniale da invalidità permanente a prescindere dalla prova di un’effettiva perdita reddituale. Pertanto, il danneggiato che intenda ottenere il risarcimento del predetto danno deve necessariamente allegarlo e provarlo ex art. 2697 c.c., anche con riguardo all’effettività della perdita reddituale subita, non potendo avvalersi delle presunzioni nemmeno nel caso in cui abbia riportato una macrolesione.

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